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Diego De Silva - 181 p. - Einaudi - euro 9,50

Data: lunedì, 22 febbraio 2010 - ore 10:17

Quest’opera di De Silva, in mezzo ad un produzione variegata e che ha visto pezzi migliori, si incastra nel filone decadente del racconto moderno senza aria, quello nero che si adagia sulle miserie generate dall’urbanizzazione selvaggia sulla terra e sulle persone. Celeste è una ragazzina che si prostituisce senza un motivo apparente e senza un pisique du role appropriato; eppure entra ed esce dalle auto che si fermano lungo la litoranea di una qualunque, degradata, cittadina marinara con rovinosa disinvoltura. Davide Heller invece è un avvocato brillante, di successo, che ha qualche neurone marcio e altrettante sinapsi difettose; cosicchè uno dei suoi passatempi preferiti è far fuori bambini e poi lasciarli in giro. Tutto va liscio finchè, un giorno, il buon Heller viene visto da Celeste mentre abbandona sulla spiaggia uno zaino con un corpicino dentro. E qui inizia il rincorrersi dei due personaggi, attraverso un rapporto guasto come lo sono le loro esistenze, fatto di silenzi carichi di accuse e falsi pudori nei confronti della violenza irrazionale e definitiva. Il ricatto come tema labile nella confusione di due vite dal lato corto e sbagliato del male, che fa da architrave ai loro scontri inutili e irrisolti. Una città di sfondo che è solo un profilo scenografico, anche qui dai colori slavati, come se il concetto positivo sia insito nelle sfumature cromatiche sgargianti o comunque che riferiscono della natura. Strade, tribunali, affanni e condomini sorvegliati, interni di lusso, auto silenziose e veloci, bar servili e stanze decadute. L’affresco di De Silva è sopra ogni equilibrio, sta fermo, sospeso su una piatta terra di spavento e fragilità che porta inevitabilmente ad un finale che spezza questa teoria composta dal dubbio e dall’incredulità di un’attrazione che solo la natura folle del sentimento può generare. Un romanzo difficile, sul filo del psicologico di fino, opera ardua da gestire letterariamente; qualche sbavatura qua e là ma niente che comprometta il filo narrativo. Forse troppo descrittivo di contorno in certi passaggi ma, d’altronde, la natura complessa dell’idea di fondo lasciava qualche margine d’errore. Comunque agghiacciante nella sua calma setosa e avvolgente.
Andrea De Gruttola

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