aNDREAdEgRUTTOLA.nET......::::
Su di me .::. Il Numero Imperfetto .::. Senza Fine .::.
Tracce .::. Parliamone .::. Pietre Miliari .::.
Istantanee .::. Letture .::. Alaska .::. SyA .::. Italia giallabianca .::. Italia giallabianca 2 .::. Mongolia .::. Patagonia
Commenta il messaggio

:nome
:e-mail
:titolo

: Immagine (max 250k, formato jpg)
Corpo messaggio:

Una panchina, a Napoli, una sera.
spedito da: Andrea
Data: sabato, 30 novembre 2019 - ore 19:52


Non sono avvezzo ai miti. Mi capita raramente di avere qualcuno o qualcosa a cui tendere in un qualche lato della sua sostanza; sono stato immune all'idolatria adolescenziale verso una qualche rockstar o un campione sportivo, insomma, nessun riferimento salvifico.
Ma il punto è che esistono anche le leggende, alle volte, e qui la faccenda cambia radicalmente. Queste ultime partono dalla realtà, ammantandosi di fantastico nell'approccio che ognuno di noi persegue verso quel nocciolo di essenza per farne propria strada da seguire, se non altro a cui rivolgersi quando l'incedere si fa greve. Io ne ho una su tutte, che parte da lontano, su una lastra di marmo scadente fatta panchina, in una strada trafficata del quartiere di Fuorigrotta, Napoli, in una serata tardo primaverile dal clima mite, con la luce itterica dei lampioni al sodio a rischiarare la scena; un occhio di bue sul nostro personalissimo palcoscenico. L'avevo conosciuto ad una festa, una delle tante che si tenevano regolarmente ora a casa di uno, ora a casa di un altro. Un gigante buono, subito m'era parso; simpatico, amico di tutti, maestoso, un catalizzatore insomma. Io volevo entrare in quella aura, volevo essere parte della "squadra", essere uno dei loro, appresso quel capitano nato, trascinatore vulcanico di noialtri giovani studenti nel pieno del caos della formazione. Ed era andata così, ero stato accettato nel gruppo e mi ero saldato a quel plotone di ragazzi che sarebbero stati gli uomini di un domani incerto.
Su quella panchina c’eravamo ritrovati per caso, dopo ormai un anno di amicizia e di discorsi densi e di esperienze. Ed anche quella volta era parlare, la cosa che ci teneva seduti su quella panchina, a tardare senza una reale fretta che ci spingesse a tornare a casa. C’era una catarsi potentissima in quel confronto, la convinzione inspiegabile che tutto ci fosse chiaro e che avremmo esattamente fatto quello che era giusto fare, nonostante nessuno dei due avesse la più pallida idea di cosa fosse “giusto”. Eppure funzionava, il confronto, il più delle volte centrato sugli universi emozionali che mettevamo rispettivamente in disperati afflati sentimentali nelle mani di donne che avrebbero, inevitabilmente, amato altri. Ma quella sera, quella luce, quell’aria, testimoniarono il momento più sublime della nostra formazione di uomini, il punto forse più vicino alla comprensione delle nostre vite, di quelli che sarebbero stati gli anni a venire. Eravamo come soldati in guerra, ma senza il fragore delle armi, nè l’angoscia della morte: i nostri nemici, se di nemici si poteva parlare, saremmo stati solo e soltanto noi stessi.
Oggi, in questi tempi ovattati, dopo più di vent’anni da quella sera, da quella panchina, constato duramente di rivedere troppo di rado quell’uomo, immutato nella sua maestosità, consegnato definitivamente alle severità del tempo, come tutte le leggende che si rispettino; divenuto serioso nell’incidere, talvolta anche nel parlare, me lo ritrovo davanti ad una birra di questo anonimo centro commerciale di Bologna, dove abbiamo ritagliato del tempo prezioso dalle nostre indecifrabili ansie lavorative pur di marcare il tempo, di dirci ancora che ci siamo, che il presente non aderisce propriamente a quei piani fatti su quella panchina e che ciò nonostante siamo fieri di poter ancora trarre potenza dai nostri confronti. Le pause tra noi si sono dilatate negli anni, oggi fattesi densi silenzi che valgono più di mille concetti. Ma ci siamo ancora e sappiamo bene a cosa ci riferiamo quando parliamo, non l’abbiamo mai dimenticato.
Come un riferimento per migliorarsi, un faro sul punto più alto di una scogliera mentre le navi sono in ambasce, il nord della bussola.
Una leggenda, appunto e ognuno di noi dovrebbe averne una così.
Un amico così.
Dedicato a Gennaro Capone

commenti: 0

>>torna a casa...


>>torna a casa...


On-line dal 28 gennaio 2007 | credits: Andrea De Gruttola | contatti | disclaimer: il materiale riprodotto è di proprietà dell'autore e di tutti coloro che, opportunamente citati, abbiano fornito il consenso all'utilizzo. | Il Numero Imperfetto © 2006 Il Filo Editore S.r.l., Roma - www.ilfiloonline.it | Senza Fine © 2009 AltroMondo Editore, Padova - www.altromondoeditore.com