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Arsura
spedito da: Andrea
Data: martedì, 2 agosto 2011 - ore 20:11


Come quella delle statali pugliesi che l'anno scorso ero solito solcare alla ricerca di affari lavorativi. I pali scrostati dalle intemperie e temprati dalla calura, la saggina gramigna alla base che si fa strada tra metallo corroso e terreno compatto e avvelenato. Un vento caldo che fa ondeggiare i secchi steli; ed io, sullo sfondo, sfocato e sudato, stanco e depresso come i paesaggi intorno.
Come quella dell’animo, quando i fiumi dell’entusiasmo si riducono fino a fievoli rivoli insignificanti e tutto secca e si crepa e si indurisce.
Come quella della coscienza, quando solleviamo polvere per non vedere, per accecarci senza alibi, per ignorare.
Arsura per fare selezione, per sfidare il gruppo e lasciare in piedi solo i meritevoli, quelli che hanno le riserve sotto pelle, dentro lo spirito, che ridono facendo piovere dentro, che irrigano i campi della gioia e sanno attraversare i deserti del destino, dove la maggior parte, talvolta senza neanche combattere, muore disidratata.
Arsura, come omaggio all’estate, quella del sud con le piane chimiche che bollono e fermentano al sole implacabile; quelle del centro, che attendono lungo i fiumi frascosi e insozzati dalla monnezza che lascia omaggi impigliati tra i rami condannati ad un’innaturale simbiosi tra plastica e materiale organico; quelle del nord, con la polvere dei capannoni abbandonati che sale in circoli al cielo slavato e saturo di idrocarburi. Paesaggi di uno stesso paese, sia dentro che fuori, dove gli uomini e le loro anime vagano senza trovarsi, senza trovare refrigerio né ristoro.
Metafora infernale, senza Dante né Virgilio ad osservarci, muti e inariditi spettatori noi stessi, mentre chi resta in piedi prova a respirare.
Dobbiamo far entrare aria, anche se bollente.
Dobbiamo tirare il fiato.

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