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PARLIAMONE 2015

Questo non è un vero e proprio blog, nel senso che non si instaurano discussioni circolari e chiuse. Non è neanche un forum però. Qui si scrive dopodichè tutti vedono tutto. E si replica alla stessa maniera. E' una semplice questione di forma, lo so, ma è importante. Purtroppo, e lo dico con sincerità, i messaggi sono moderati percui c'è una certa latenza tra la vostra spedizione e la successiva pubblicazione di un messaggio. Il male è da sempre presente sulla rete, e i comportamenti deviati con esso. Portate pazienza. E' necessario.

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Auguri - Natale 2015
spedito da: Andrea
Data: giovedì, 24 dicembre 2015 - ore 19:22



Allora, l'appuntamento è d'obbligo e non ho certo intenzione di mancare: quest'anno gli auguri ruotano intorno alla bicicletta con una storia circolare che sa di vita, vera e di amarcord.
Ho una cartolina autografa originale sul muro di casa mia a Milano, il soggetto è Bartali: ma non sono io che ho avuto l'onore di farmela firmare dal Gino nazionale. E' un omaggio, che mi fece tanti anni fa un uomo che ha deciso di andarsene, con quello stile che lo ha sempre contraddistinto, proprio poco prima di questo Natale, in silenzio e senza fare rumore. Quella cartolina oggi prende ancora più valore, oltre quello che non avesse già: il valore umano, la testimonianza che quell'uomo ha voluto darmi per entrare a far parte di quel circolo entusiasmante che avevo messo in piedi, un circolo fatto di ruote e telai e borse e tappe dove spesso infilavo una Avellino-Battipaglia proprio per rendere omaggio a quell'uomo e a sua moglie che mi ospitavano sempre con estremo affetto. Il Natale, con tutto il suo spirito religioso e non, quest'anno per me va dedicato a loro, Vincenzo e Lucia, senza ulteriori fronzoli. Con me, nell'andare attraverso i giorni, resta il loro figliolo, che è inutile sfogliare il vocabolario per definire il rapporto che abbiamo costruito in questi anni; direi che citarlo ancora e una volta risulta superfluo. "Larger than Life", espressione che mi ha sempre colpito perchè riassume quello che penso su di lui e che in italiano non ha corrispettivo altrettanto efficace. Un abbraccio davvero, un abbraccio Genna'.
Ed oggi, prima di sedermi a tavola con la mia famiglia e aggregarci una volta e ancora intorno al desco ognuno da posizioni distinte, ognuno da prospettive più o meno apocrife, ho abbracciato la mia terra, le mie strade, in una classica che non perde mai di interesse e che sa regalare spunti inattesi ed emozionanti. Di certo in bicicletta, per chiudere la storia di cui sopra, anche perchè sono certo che Vincenzo approverebbe tale sgambata pre-natalizia, perchè il senso dei chilometri di oggi sanno anche del rispetto e dell'omaggio che ho voluto, a modo mio, portare a quell'uomo in mezzo ad un tripudio di colline e sole tiepido e colori che sanno di casa e di un mondo che sta andando via via sfumando intorno a me.
Ma vivo ed esplosivo dentro di me.
Buona serata a tutti.
A.

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Parigi (e so' due)
spedito da: Andrea
Data: domenica, 15 novembre 2015 - ore 21:45


ATTENZIONE: i contenuti di questo post sono altamente qualunquisti con punte di populismo al limite del patologico. Astenersi chiunque abbia una minima capacita' di raziocinio e/o che non utilizzi il cervello soltanto come distanziale per i padiglioni auricolari.
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Dopo aver letto un po' di tutto sul network, sui giornali e aver spiluccato mio malgrado in TV (a parte MTV canale 67 e i canali a tema pallone, si parla solo di quanto accaduto in Francia) provo a riassumere che idea si farebbe l'uomo della caverna che uscisse oggi e scoprisse cosa e' successo:

1) L'Islam non ha il diritto d'esistere, men che mai una religione. Ma che e'? Pare addirittura che Allah si compiaccia nel farsi invocare mentre i suoi adepti falciano a mitragliate gente inerme. D'Altronde quelli (i Marucchen de merda) gridano proprio:"Allah akbar" mica "Gesu' e' grande", no no, proprio Allah. E tanto per non avere dubbi, i musulmani stavano sulle palle pure a Oriana Fallaci e quella mica era una qualunque, una come noi, macche', quella ha studiato e viaggiato ed era una gran giornalista percui...io al massimo alla domenica vado al lago...e poi scusate, ma quelli c'hanno il "Papa"? a me pare di no, mica come noialtri cristiani che c'abbiamo Francesco che va in giro a cambiare il mondo solo con le parole senza alzare un dito su nessuno. Si si, l'Islam e' una cosa che va cancellata e se vi dicono che e' la religione piu' diffusa al mondo e' tutto falso: i numeri li avranno diffusi le organizzazioni di manifestazioni sinistroidi.

2) La cacca la si fa al cesso. Quello che e' successo a Parigi e' l'equivalente di andare a farla in salotto: ma siete impazziti? A casa nostra? in Europa??? Ma per carita', piuttosto devono continuare a saltare in aria a Beirut, in Iraq, in Siria e in qualche altra nazione Africana che li' devono succedere 'ste cose, dove ci stanno "loro" e quelli come "loro". D'altronde Feisbuc mica c'ha messo le bandiere dei paesi di cui sopra? no, infatti, solo quella francese e quindi di che stiamo parlando?

3) La soluzione al problema e' la seguente: ripristino delle frontiere con filo spinato e guardie armate in modo che "loro" non possono piu' entrare. Quelli che stanno dentro so cazzi loro, si va la', dove stanno, dove si mettono e giu' a legnate, cosi' vediamo la prossima volta se si permettono. Dopodiche' li rimandiamo da dove sono venuti, questo mi pare chiaro e non dovrei neanche dirlo. Cosi', oltre a eliminare il problema terrorismo si risolve pure quello del lavoro che ci inculano: cosi' i ns figli e fratelli e amici potranno anche loro trovare un posto.

4) inutile che provano a spiegare o a pigliare le distanze: adesso e' facile fare le manifestazioni o andare in piazza coi cartelli "non in mio nome" e 'ste cose qua...no no, quelli so' tutti uguali, quindi sotto sotto sono responsabili pure loro mi pare chiaro. E poi, insomma, qua quelli che hanno il diritto di fare il cazzo che ci pare siamo noi, quelli sono poveracci, stupidi, scuri e poi puzzano, insomma sono inferiori e dunque abbiamo il diritto (e il dovere) di tenerli sotto i piedi, vaffanculo! e quando ci vuole ci vuole...
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Ecco, questo e' quello che ho capito leggendo, e si' che non sono una cima ma manco un idiota.
L'umanita' e' alla frutta, anzi, all'ammazzacaffè direi.
Sfruttate l'occasione, oltre che emozionarvi per delle povere persone morte inconsapevolmente (a Parigi come altrove) anche per investire un po' del vostro prezioso tempo per tentare di capire perche' cazzo accadono cose come quelle francesi. Ah, e "per capire" non intendo "per giustificarli" (ho letto pure questo) ma per comprenderne le cause e di conseguenza pensare alle soluzioni (eventuali).
E in ultimo, per favore, non cacatevi sotto: e' esattamente quello che quei matti e quelli che li sguinzagliano (e non mi riferisco a dei califfi del cazzo) si aspettano da voi.

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F.R.
spedito da: Andrea
Data: venerdì, 30 ottobre 2015 - ore 19:59


Si parla spesso di "forza" nelle vicende emotive umane. Quando si utilizza tale caratteristica in merito alle emozioni è, per la maggiorparte delle volte, perchè ci si deve difendere. Si argomenta di qualcuno sull'essere o meno "forte", quando quest'ultimo deve superare una particolare delusione o un trauma doloroso, insomma quando deve "incassare". Come il pugile che le prende, la dote che più gli serve in quel frangente non è tanto la forza (spesso la capacità di reazione è pressochè nulla) quanto la "resistenza"; perchè ciò che deve fare è rimanere in piedi, "resistere" appunto, fino alla fine, aspettando il gong, aspettando che tutto finisca. E se è la resistenza che serve davvero quando siamo sotto, a me non viene in mente il solito parallelo con il diamante, che è duro in modo incredibile e che però, colpito nel punto giusto va in frantumi: non mi ha mai convinto il binomio durezza-forza perchè le due cose non sono necessariamente correlate. A me viene in mente il carbonio (quello lavorato intendo) perchè è sì duro anche lui, rigido per la precisione, ma non è la forza che gli si attribuisce come caratteristica peculiare quanto semmai la resistenza, la capacità di tollerare appunto, sollecitazioni enormi mantenendo intatte le sue caratteristiche. E il carbonio non ha bisogno di un colpo nel punto giusto per sfaldarsi: al contrario del diamante, al carbonio basta un graffio e le sue fibre iniziano a cedere una dopo l'altra, in una falcidia microscopica che è invisibile all'occhio umano ma che, dopo un determinato tempo più o meno lungo, non calcolabile, lo fa schiantare del tutto.
All'improvviso.

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In mezzo
spedito da: Andrea
Data: venerdì, 9 ottobre 2015 - ore 22:27


"Non c'era tutta questa distanza a ben vedere; tra loro solo un piccolo salto, come quello di un torrente di montagna. Impetuoso e pertanto fonte di inquietudine. E se cado? Il pensiero di entrambi, uno su una sponda, l'altro sull'altra, nessuno che saltasse. Il vento muoveva le cose intorno, ma loro sempre lì, impalati come salami appesi in una cantina ad essiccare. Tutto quel ragionare, valutare, inchiodati da paure ataviche e insondabili, sebbene una voglia incontenibile di abbracciarsi ma niente, le sponde erano il loro confine di mondo e corde robuste e invisibili li tenevano legati e bloccati lì, proprio su quel confine. E si guardavano i sorrisi, misuravano i contorni, sorridevano all'aria e alla fame delle mani di toccarsi mentre tutto ciò che avrebbero voluto era lì, ad un passo eppure straordinariamente lontano, troppo.
Come la distanza di due sponde, di un torrente di montagna."
[...]

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Dal treno (a ridajie...)
spedito da: Andrea
Data: domenica, 5 luglio 2015 - ore 18:6


Sulla banchina dei treni è sempre la stessa (stupenda) scena: lei e lui si abbracciano, si baciano con piccoli rapidissimi schiocchi di labbra, si suggellano patti verbali che nemmeno in fase di contrazione di mutui bancari, soprattutto si guardano come se non ci fosse una dimensione al di fuori del loro cono visivo. Poi arriva il momento: uno dei due deve salire sul mostro a rotaia. Di solito è lei (nelle mie statistiche di viaggio) ma oggi è un lui. Lei rimane sulla banchina mentre lui, da dietro il vetro fumè sussurra parole dolci incurante degli altri, di quella incuranza che solo l'amore può donare; lei, memore dei corsi di sopravvivenza sentimentale, legge il labiale del suo amore portandosi i palmi delle mani al petto in un apocrifo gesto di valore assoluto. Ma attenzione il treno non parte: un ritardo interviene a scombussolare il copione. Lui allora approfitta e continua a dirne di ogni finché il ritardo non manda la poveretta in saturazione: è dramma. Lei, dopo aver battuto due volte il pugno chiuso sul cuore e indicato con l'indice il lui al di qua del vetro, scoppia in un pianto sconsolato tipo mogliettina di milite destinato al massacro. Lui allora appoggia le mani al vetro nell'unico gesto che possa azzerare le distanze mentre lei viene cinta dall'abbraccio di un uomo anziano che nei tratti somatici le assomiglia: forse il padre, rimasto in pudica distanza ma scattato nel momento del bisogno. A questo punto spero anch'io che il treno parta che mi sta prendendo male che neanche quando morì Andrè in Lady Oscar.
Ed eccolo il sibilo del mostro di acciaio che sgancia gli ormeggi e mette fine alla tragedia. Giurerei, ma non so se davvero, d'averla vista correre divincolandosi dalla presa paterna (?) in un vano ed impari inseguimento al mezzo rotabile.
Mi interrogo su quali radici si basi un siffatto, melodrammatico sentire, se la naturale dinamica di un amore vero o la decisiva e ineluttabile presa di coscienza della fine nello stesso istante in cui si capisce che non c'è nulla più da fare?
Nel pieno di siffatti, abominevoli quesiti senza risposta, il tipo seduto davanti a me, si porta il cellulare all'orecchio. Due secondi, poi (sussurrato con mano sull'apparecchio a limitare la propagazione acustica):
"Si sono partito...si c'erano anche i suoi...si lo so che glielo devo dire...va bene si,....alle nove e mezza...macchè centrale, Rogoredo quante volte te lo devo dire...si d'accordo...anche qui (ndt: il caldo???)...non vedo l'ora...anch'io..."
Ps: il finale scontato non m'è mai piaciuto.
Ps2: la fantasia comincia dove la realtà finisce (o viceversa) : a voi la scelta.
Ps3: vi voglio bene.
Ps4: 299€ da Mediaworld (si lo questa è pessima...)

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Dall'altra parte del tempo
spedito da: Andrea
Data: martedì, 16 giugno 2015 - ore 21:5


Stasera sono tornato a casa ed ho trovato una cartolina dentro la cassetta della posta. L'evento non sarebbe stato notevole una ventina d'anni fa ma oggi, nell'era del digitale a tempo zero, è veramente un evento. E come ogni evento mi ha regalato un sussulto.
Bella sensazione, averla tra le mani, vedere il francobollo con il timbro, insomma, roba d'altri tempi si direbbe. Grande stima per il mittente, per il pensiero, per l'energia profusa per mettere in piedi la spedizione, la "dedica" al postino visto che il mio indirizzo era senza strada e numero civico (il che fa di me entità più che nota in questo buco della pianura lombarda) e comunque arrivata a destinazione.
Non è un caso che il mittente abbia usato un mezzo d'altri tempi perchè d'altri tempi (e buoni tempi) è lui, il senso del suo vivere e la sua coerenza quotidiana; soprattutto d'altri tempi il mezzo perchè il senso del saluto proviene da un agire che affonda nella mia vita più di vent'anni addietro, quando anch'io viaggiavo e spedivo cartoline a tutto spiano (ai tempi l'unica testimonianza d'esserci stati e come attestato di stima per il destinatario).
Insomma solo lui poteva e solo lui l'ha fatto. E grazie mille a lui che mi ha davvero fatto un gran regalo questa sera.
Un abbraccio fortissimo.
A.

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Reginella
spedito da: Andrea
Data: lunedì, 11 maggio 2015 - ore 20:45


Stasera ho avuto una decina di minuti a casa, senza alcuna pressione (cosa rara) e allora ho preso la chitarra e ho suonato alcuni pezzi di quelli che si facevano un tempo. Era bello, mi piaceva e poi ho attaccato Reginella, ma a guardare fuori dalla mia finestra non c'erano i tetti di Mezzocannone, quelle sere dove l'aria di Napoli era dolce e c'erano i desideri che danzavano nell'aria. Non c'erano candele sui terrazzi, nè gli altri studenti ad ascoltare noi in circolo che diventavamo grandi. Mi sono dovuto fermare perchè non sono riuscito a cavalcare la malinconia come avrei dovuto e sono rimasto muto, con la chitarra sulle gambe, nel silenzio della mia stanza piantata nella piana lombarda, lontano da voi nello spazio e nel tempo. Mi dispiace ragazzi, non ce l'ho fatta a reggere l'onda...vi voglio bene. Dario Nardone, Gennaro Capone, Emanuela Supino, Olga GuariniGiovanna Del Baglivo, Chiara Florenzano, Antonella Sgambati, Desvan Older, Alessandra Lombardi, Roberto Festa, Nilde Nobile, Danilo Riparini, Rosanna De Lucia, Pasquale D'Agosto, Mariacarmela Supino

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Sguardi passati
spedito da: Andrea
Data: venerdì, 8 maggio 2015 - ore 21:21


"[...] Da bambina andavo su al lago. Papà ci metteva in macchina, io e mio fratello seduti dietro, lungo le salite verso il Ghisallo, passando per Canzo, Asso, l'acqua al di là delle creste delle colline, piatta e celeste, un cielo rovesciato. E mentre l'auto saliva agile, noi nel nostro abitacolo, loro erano là fuori, stretti nei loro vestiti attillati di tessuti sintetici, scolpiti nelle carni, tenaci, definiti nella smorfia dello sforzo ottuso verso la cima, senza una vera e propria espressione cosciente sui loro volti. Danzavano sui pedali, oscillando per ingannare la gravità anche se sembravano più che altro ingannare se stessi. Questi non mollano mai, pensavo guardandoli, se devono arrivare, arrivano, se devono "compiere", allora "compiono"; in una parola, questi non si arrendono. Quando li passavamo a meno di due metri, mio padre bofonchiava sempre, chi glielo fa fare, diceva nel suo limite intellettivo che lo ha sempre caratterizzato. Poi, un giorno, ce n'era uno che invece era su una bici diversa, con tante borse attaccate un po' ovunque, e questo saliva su calmo, senza alzarsi dalla sella, lento, molto lento ma intanto andava e i metri li masticava piano, come gustandosi il miglior piatto del miglior chef. Lui alzò il viso lucido di sudore, incrociò i miei occhi da bambina e mi sorrise, dai suoi occhi dello stesso colore del lago, lui mi fece vedere, mi fece capire. Ed è lì che decisi: da grande, avrei sposato un ciclista. [...]"

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Insieme (di nuovo)
spedito da: Andrea
Data: sabato, 2 maggio 2015 - ore 13:48


Oggi mi sento un rammollito...pensiero nostalgico nel pedalare per le mie terre con gli uomini di sempre e dunque saluto con affetto i pedalatori (a parte quelli con me in strada, Luigi Spagnuolo e Joyce Casalino): Antonio Schettino, Isidoro Siniscalchi, Minutiello Giuseppe e Raffaele Minutiello, Alessandro Ciavatta e Michele D'Amelio. E ovviamente tutte le rispettive consorti...un abbraccio a tutti. Il sottoscritto vi porta sempre dietro, su qualunque strada non dimenticatelo mai...

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I.N.I.
spedito da: Andrea
Data: giovedì, 19 marzo 2015 - ore 19:20


"[...] Allunga il braccio rapidamente portando la sua mano dietro la mia nuca con una dolcezza disarmante, a farsi leva mentre il suo viso si muove verso di me seguito da tutto il corpo azzerando la distanza che ci separa e nell’istante in cui comprendo quello che sta per fare, sento le sue labbra appoggiarsi alle mie con la giusta pressione e ho ancora gli occhi aperti dallo stupore ma dura poco perché le palpebre si scongelano sotto il calore dell’emozione che mi esplode dentro, chiudendosi lente a lasciare impressa sulla mia retina l’istantanea di lei e del suo volto inclinato e dei suoi occhi già chiusi e delle ciocche che le cadono inerti su un lato e d’un tratto non sento più né il vento né la tammurriata né il senso fisico della gravità. [...]"

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Sul treno 2...
spedito da: Andrea
Data: martedì, 24 febbraio 2015 - ore 9:22


Ah ma oggi deve essere il mio giorno fortunato... Sempre in treno, appena ripartiti da Bologna, lo speaker annuncia di silenziare i cellulari e ridurre il tono di voce nelle conversazioni per arrecare il minor disturbo possibile ai passeggeri. Neanche il tempo di finire la frase che parte una suoneria di un pezzo dance che adesso non saprei individuare (in ogni modo pezzo da baraonda tamarra) su una scala di decibel da sanzione regionale. Il destinatario, di chiare origini non madrelinga data la completa nonchalance con la quale si fa attraversare dall'annuncio che ancora balla nell'aria, dopo qualche secondo di apprezzamento della orecchiabile melodia, decide di rispondere esordendo con:"Giuà (Giovanni ndt) nu può capì, nu può capì..." L'abbrivio non promette niente di buono. Già il fatto che ribadisca l'incapacità del suo interlocutore di comprendere quali incredibili storie gli siano capitate, è tipica strategia per ottenere il massimo dell'attenzione. Una sorta di "status ignorantiae" necessario al monologo che sta per aver luogo. Il volume di voce con il quale il tizio inizia a parlare è da comizio ciggielle da primo maggio. Palesate le sue origini in terra Felix, malcelando la sua indole cafarda, il discorso si dipana senza alcuna pudicizia in una carrozza di gente tipicamente italiota che applica la regola delle tre scimmie. Il sottoscritto, dopo aver seguito un pezzo di conversazione che devo dire aveva una sua logica perversa, alla sentenza:"None Giuà (sempre lui), Renzi nunn'è cazzo ru suji..." (così, riassumendo con estremo acume politico), mi alzo per mettere fine al delirio populista. "Chiedo scusa, potrebbe abbassare il tono della voce?" E lui, premuratosi di apporre una mano sul microfono del telefono:"Azz, scusate, ma perchè stavo gridando?" Io lo fisso negli occhi per qualche secondo, dopodichè torno al posto senza dire nulla con lui che fa, sussurrando:"Giuà, mo' stongo rind o'treno, nu pozzo parlà. Ci sentimmo quanno scengo..."

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Sul treno...
spedito da: Andrea
Data: martedì, 24 febbraio 2015 - ore 7:40


Pochi minuti fa nel treno... Spinto da un inaspettato afflato assistenzialista (tralaltro assolutamente ingiustificato date le circostanze), aiuto una cariatide a issare la bara che lei mi qualifica come sua valigia, sull'apposito pianale destinato ai bagagli. Dopo il "grazie" di etichetta, da dietro interviene una babbiona, non interpellata, che se ne esce con:"ma allora qualche cavallo c'è ancora...pensavo non c'è ne fossero più..." Ed io:"Non si sono ancora estinti signora. Buona giornata." E mi rimetto a fissare la pianura insulsa con sguardo bovino. Vabbè...

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Tirare
spedito da: Andrea
Data: giovedì, 12 febbraio 2015 - ore 21:1


Una lezione, LA lezione, l'abbiamo vissuta certamente tutti, imparata senz'altro. Ma quanto vantaggio ci fa crederci ignoranti quando serve richiamare quel senso acquisito di cui sopra? Sembrerebbe tanto, praticamente tutto. Liquideremmo tutto troppo celermente, più di quanto le necessità "sociali" pretenderebbero; bisogna sfumare il ricordo, violentare la propria saggezza, perchè di questo si parla, un superiore significato acquisito, un senso logico che seppure colorato dall'emotività, pur sempre raggiunto resti ignorato, annullato nel suo valore. Andrebbe tutto bene, giustificato e appagante, un voltare pagina senza piegature. I coerenti lo chiamano andare avanti, ne fanno colonna portante dell'esistere, gli ignavi, gli annoiati e gli ipocondriaci invece ipocritamente la chiamano rifiuto al dinamismo, il fottutissimo non mettere se stessi in gioco, come se ci fosse da divertirsi là fuori mentre è in corso una maledettissima guerra, sissignore, un conflitto di proporzioni immani, che priva del fragore delle bombe e dello sciaquettio del sangue versato, pare depotenziarsi a dispetto di ogni secondo nel quale muoriamo poco alla volta, dal di dentro, squartati dal silenzio di parole dolci, dall'assenza di un abbraccio in cui difendersi, da un nucleo di un universo umano nel quale farsi risucchiare. E così ce ne andiamo, ci consumiamo come candele che bruciano nelle ghiacciaie e più facciamo passi all'apparenza avanti per trovare la pace e riunire gli istinti atrofizzati, più mettiamo distanza, allontanandoci dalla salvezza. Restare a guardare non serve, pensare sembrerebbe la via maestra per la sofferenza certa, perchè da nessuna parte la comprensione porta a quanto pare, che l'ignoranza parrebbe l'unica arma con la quale difendersi.
Ma possiamo davvero ignorare, ignorarCi? No, non lo facciamo, quelli che ci credono ancora no di certo. E continuiamo ad andare, a riunirci per resistere mentre tutto attorno è un raccontarsi ciò che serve alle anime deboli per trascinarsi attraverso le giornate.
Per sopravvivere.

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L'estetica del Male
spedito da: Andrea
Data: giovedì, 8 gennaio 2015 - ore 20:18


Nel seguire le vicende francesi, centro di gravità del confronto umano delle ultime quarantott'ore, non ho potuto fare a meno di provare, io davvero poco empatico, un orrendo deja vù emotivo; quando, più di dieci anni fa, rimasi intontito dinanzi ad un televisore a tubo catodico a fissare il loop visivo di due aerei che si infilavano in due delle torri più famose del mondo "libero". Ciò che allinea i miei sensi in maniera così inaspettata e forte da farmi sentire l'impulso di comunicare scrivendo (tralaltro di temi d'attualità, pratica quanto mai esecrata dal sottoscritto per svariate ragioni), sta tutta nella fruizione dell'evento tragico che l'immediatezza dei moderni sistemi di comunicazione ci portano in dono. Così resti a fissare il video del poliziotto "finito" sul selciato di un marciapiede, senza il supporto salivifico della dimensione di fiction perchè quello che stai guardando non è un film ma la realtà e nella realtà, la gente sui marciapiedi ci cammina, magari per andare chissà dove, non certo per prendersi il colpo di grazia manco fosse un soldato in zona di guerra. Non solo, ma ti fissi, con fervida immaginazione, a figurarti l'attimo nel quale due sconosciuti, mossi da furore privo di ogni raziocinio (semmai fosse possibile), sfondano una porta e falciano a colpi di kalashnikov dodici individui intenti a discutere dell'uscita di un giornale, impegnati in una riunione come tante facciamo alcuni di noi altrettanto di frequente. Ti concentri sulle loro vite, avulse da logiche di violenza fisica brutale, sulle loro ultime parole, sui loro ultimi (ignari) gesti meccanici compiuti prima di uscire di casa, anche qui, per l'ultima volta. Tutto questo lo fai così come lo feci io dinanzi ai due aerei di cui sopra: l'immagine del tizio che vola dal grattacielo dandosi una personale morte, di per sè inevitabile, abbracciando il vuoto anzichè l'opprimente idea di schiacciarsi tra le macerie di un crollo, la sua camicia che svolazza nel vento di velocità della caduta. Questo mi rimane, vivido, fisso nel ricordo: il resto è già storia. Mi colpiscono, prima ancora che le inevitabili connessioni socio-politico-religiose, gli aspetti collaterali di tutto il circo tremendo andato in scena. Come se tutte le persone vagassero apatiche tra le giornate, attendendo eventi che li catalizzino uno verso l'altro, seguendo scie di bit senza neanche prendersi la briga di capirne di più di slogan costruiti rapidi e scivolosi per addensare consensi o indignazione con la data di scadenza. Mi sono chiesto perchè e la risposta l'ho trovata proprio nell'attenzione e nell'esaltazione dei dettagli della vicenda, quelli che la mente razionale sposta dal percorso percettivo, li scarta perchè non aderenti a logiche elementari: non si muore in ufficio, non si muore giustiziato su un marciapiede di parigi, non si muore se non sei un malvivente in un conflitto a fuoco con la polizia o un soldato in guerra. E questo accade perchè il male ce l'ha una sua estetica, che ne valorizza il messaggio di caos che porta con sè e sa quando esaltarsi e lasciare il segno: proprio minando le percezioni elementari di cui sopra. Così come quando gli aerei entrarono nelle torri: gli aerei non si schiantano contro i palazzi, questo pensai di fronte quelle immagini anni fa, denunciando un'emotività da beota. Il male che sceglie il pugno allo stomaco per recapitare il suo messaggio, non il blando scorrere di notizie su stragi ben più sanguinose quotidianamente registrate in mercati di città mediorientali dove la gente, scesa a comprare cibo, salta in aria dilaniata da ordigni costruiti da mani altrettando misere e primitive, lontane dal nostro immaginario occidentale e perciò declassate a "cose che accadono, si sanno, là è così" e via ad andare. O peggio ancora di migliaia di morti per malattie incurabili dovute a sversamenti di sostanze tossiche nei terreni adibiti all'agricoltura: colpevolmente lento il rapporto causa-effetto, troppo rispetto alla percezione di una raffica di proiettili o alla deflagrazione di un ordigno. Questo mi agghiaccia più di tutto, la consapevolezza che si ha del senso che la tragedia porta con sè, il relativismo legato agli eventi e alla loro finestra temporale, la "forma" che il male sceglie determinate volte per compiersi.
"L'attentato alla libertà di stampa" è solo il concetto dietro cui addensare gli scacchisti delle ulteriori stupidità umane: non sarà questo a fermare "la libertà di stampa", non diciamo idiozie, che anzi vedrà ancora più vigore nell'esaltarsi e compattarsi lungo il fronte comune del Male incarnato dagli integralisti e per questo benedetti da tutti i guerrafondai globali e i lobbisti usuali dell'entourage bellico. La libertà di stampa è già ampiamente mortificata dalle logiche di potere, dalle storture del sistema economico che vede i giornalisti di tutti i quotidiani guadagnarsi il pane pagati da gruppi e holding e magnati che siedono a tavoli di congreghe che gli stessi giornalisti dovrebbero denunciare. Un corto circuito paradossale dove le "schiene-dritte" non esistono davvero più e si fa la figura dei fessi a star dietro ed ad annuire e a schierarsi per tutto quello che viene scritto e/o mostrato in video.
Sono morte dodici persone, questo è quello che rimane perchè è l'unica verità assoluta: il resto è materia da annoiati e da vuoti a perdere vessilli di stupidità. Ancora una volta è l'essere umano che ne esce sconfitto, senza cercare di trovare il giusto in alcune parti del mondo e lo sbagliato in altre. E non è perchè non ci si voglia sforzare di capire ma perchè la storia ci insegna che sempre così è stato e sempre così, ahimè, è e sarà. Charlie Hebdo è una ulteriore tappa del percorso del male su questa terra: non è la prima nè sarà, inevitabilmente, l'ultima.

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