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Lunar Park

Bret Easton Ellis – 332 p. – Einaudi – euro 12,00

Data: venerdì, 23 maggio 2008 - ore 0:30

Oh, allora, l’ultimo Ellis era di “American Psycho” su queste rubriche (non recensito “Le regole dell’attrazione”) ed oggi è l’ultima sua fatica in ordine di tempo (2005!) che ha per titolo un gioco di parole che già quello lascia infastiditi (senza capirne il perché, naturalmente). Dopodichè si parte per un viaggio immaginifico dove realtà e fantasia e biografia si amalgamano senza che alcun grumo lasci tradire la genesi della crema finale. Da dire subito che un certo vizietto alla Shining emerge in più di un frangente ma a parte questo l’originalità della trama è ben salda. Di ingredienti dell’horror più tradizionale ce ne sono a bizzeffe, il tutto basato sulla costanza di voler raccontare il rapporto padre-figlio da un punto di vista bidirezionale (Ellis sia figlio del padre che fu, sia padre del figlio che è); la qual cosa alle volte disgusta un po’ ma evidentemente l’autore ne è rimasto fin troppo traumatizzato per riuscire a dominare la cosa. E se è vero che Patrick Bateman è stata la nemesi dello scrittore di successo basata sulla figura paterna, eccolo che ritorna proprio in un romanzo dove il tema, e chi lo ha generato, né è protagonista. Per chi, come il sottoscritto, è rimasto positivamente traumatizzato dall’opera omnia ellisiana, non può non rimanere attonito di fronte il cameo che rinfocola il personaggio dello yuppie macellaio. La mescolanza degli atti biografici e fantastici della vita di Ellis ha dell’inquietante; si fatica in certi passaggi a non dar fede allo scritto oltre l’opera letteraria. In fondo lo scrittore statunitense si è divertito ad utilizzare quest’escamotage per poter discorrere dei suoi eccessi e perversioni ad uno psicologo del tutto eccezionale, se stesso, al quale non mentire su nulla né risparmiarsi. Ellis è prodigo di sé, e tutto il romanzo ne soffre un po’ fino al finale che lascia sicuramente spiazzati ma non per qualcosa che posso dire senza rovinare il tutto. Vi dico solo che non è nulla di banale, non dopo trecento e più pagine di tema duro e asciutto e senza speranza. In questo caso, il sentimento che permea l’ultimo atto del romanzo giunge inaspettato e, per quanto detto, ancora di più amplificato. I figli e i padri uniti a doppio filo nella fantasia ma, soprattutto, nella realtà.
Andrea De Gruttola
Pubblicato su LOGO n°6 giu 2008

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