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Un giorno, un autunno.
spedito da: Andrea
Data: venerdì, 22 febbraio 2013 - ore 23:35


La madre si accovacciò per abbottonare il cappottino del bambino, uno di quei montgomery con i bottoni di plastica di finto corno. Intorno faceva freddo, pieno autunno, in un paesino dell'appennino lucano il clima poteva essere davvero difficile in certi mesi dell'anno. Il cielo una lastra di grigio compatta e chiusa come la più diffidente delle vedove. Il bambino si lasciava vestire, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e il viso verso terra. La mamma gli sollevò il mento con delicatezza mentre lui singhiozzava, dei lacrimoni gli rigavano il volto paffuto. Gli occhioni azzurri velati dalle lacrime che tremolavano nel vento freddo.
"Su non fare così, non piangere" disse la donna, trentacinque anni, graziosa e delicata sparata in un posto che non le apparteneva, come tutti quelli dove era stata precedentemente.
Ma il bambino andava dritto per il suo percorso emotivo e proprio non riusciva a smettere di piangere. A due passi c'era la recinzione del campo di calcio, un enorme rettangolo di terra battuta dura e inospitale, vuoto; il vento spazzava la superficie sollevando turbini di polvere fredda.
"Vedrai, crescerai, andrai a scuola, poi all'università e conoscerai tanta gente, vedrai quanta..." disse ancora lei cercando di dare una prospettiva di lungo respiro a suo figlio. Perchè la madre sapeva la ragione di quelle lacrime. Come si può definire qualcosa che i bambini non possono ancora riconoscere e fare propri a quell'età? Eppure lui piangeva perchè la sua amichetta del cuore gli aveva confidato, nel giardino sotto casa sua, quello dove l'odore di resina dei pini era così forte, bè, lì lei gli aveva candidamente confessato che il suo principe azzurro era quel Giulio lì, di dieci anni e quindi più grande; lui l'avrebbe portata via sul cavallo bianco.
Ed è allora che lui aveva sentito come qualcosa che si rompeva dentro, una specie di spezzatura di qualcosa di fragile. E bisognava piangere, come se le lacrime potessero portarsi via tutto, come un fiume in piena. Anima di Dio, chissà cosa credeva fosse tutto quel dolore improvviso, quella assurda sensazione di esclusione, messa da parte, che stava vivendo, quel suo ruolo usurpatogli da uno più grande, non solo nell'età ma anche nel fisico, il suo ruolo di principe azzurro. E per sempre gli sarebbe rimasto l'odore di resina e mai l'avrebbe dimenticato. L'eredità di un odio troppo acerbo per potersi sviluppare.
I gesti della madre erano terminati. Lei l'aveva accarezzato con delicatezza, gurdandolo con occhi dolci pieni di speranza cocciuta per il futuro, piena di cieca forza e ostinazione da madre protettiva. Sapeva di non poter far altro per quel figlio che la stava sorprendendo con quel pianto mosso da quelle motivazioni che aveva ascoltato con incredibile incredulità. Già a quell'età, come poteva essere? Ma lei era sicura che tutto si sarebbe sistemato, che sarebbe stato impossibile pensare ad un futuro diverso da quello di una vita piena in tutti i sensi, gioia e tutto il resto e amore, quello vero. Cuore di madre, cos'altro poter concepire in quel momento? E quasi il bambino percepì quell'addomesticato istinto di protezione materna, quella corazza che invece si stava disgregando lentamente per portarlo ad esporsi completamente nell'età adulta. Non avrebbe sempre potuto contare sulla protezione di lei, non ci sarebbero state sempre le sue carezze. Sarebbe venuto un momento nel quale il pianto sarebbe stato cattivo e non dolce, dove i muscoli si sarebbero flessi per portarlo oltre luoghi sconosciuti e lontani, dove i pensieri sarebbero corsi più veloci della stessa comprensione del senso, dove le illusioni l'avrebbero spinto per anni e anni a vagare in cerca del senso. Ma in quell'istante erano solo una madre bella e dolce ed un figlio piccolo che piangeva composto e motivato sebbene la sua amichetta l'aveva messo da parte con estrema innocenza. Sarebbero cresciuti entrambi, la madre e il figlio ed entrambi avrebbero combattuto le proprie personalissime battaglie contro il destino affinchè quei gesti di quella giornata, poggiata su un crinale di tempo instabile, tutte quelle parole e speranze e certezze avrebbero portato frutti e non si fossero perse per sempre. Chissà dov'è oggi quel bambino, come sta giocando la partita e soprattutto chissà se la madre lo sta guardando posizionarsi nel mondo così come era lei ai tempi di quei gesti. Con tutto l'amore possibile e di più.
...A mia madre...

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