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Una sera, a Venosa.
spedito da: Andrea
Data: giovedì, 7 novembre 2013 - ore 23:29


Mi sono messo a correre certamente per scopi sportivi e di manutenzione fisica; ma senza dubbio un effetto collaterale assolutamente non deprecabile è lo svuotamento completo delle cianfrusaglie emotive che asfissiano i buoni pensieri, le lucide rappresentazioni delle gioie, quelle spicciole e perciò fugaci. Lasciatemi allora spendere due parole su quello che è accaduto sabato sera, in quel di Venosa, paese incastonato nel centro di un meridione che solletica fantasie popolari alle quali sono sempre appartenuto. Mi sono ritrovato con quattro amici in macchina per raggiungere in una serata complice delle nostre volontà, altri amici come noi, che la strada ha unito indissolubilmente alle nostre esistenze. Ci siamo seduti attorno ad una tavola dove si è concretizzata un'aspettativa di solidarietà dei desideri come non la sperimentavo da tempo. Nessuna sensazione di fuoriposto, nessun permesso per essere se stessi, tutti attorno, in circolo per chiacchierare e sentire come una sola giornata abbia incollato persone e volontà e sacrificio; lontani nello spazio ma praticamente ad un passo col pensiero. Sentirsi come a casa, come se le persone attorno a quel tavolo le si conoscesse da sempre, una compressione temporale senza un inizio nè una fine. Mi sono girato spesso a contemplare quella scena, con i miei tre commilitoni al fianco e gli altri due di fronte, in mezzo alla loro famiglia, ospitale come quelle leggende da dopoguerra italiano, dove la tavola diventava la piazza dove incontrarsi, conoscersi, scambiarsi tempo e vita e cultura. Ricordando dentro di me, in silenzio, senza sminuire nè banalizzare il mese di vissuto sulla strada di una nazione che ci impedisce ancora di raggiungere la felicità vera, pura e senza intoppi ma che ci carica e ci pulisce dentro per essere sempre più onesti, sempre più delle brave persone. Che serata ragazzi, un omaggio a quegli eroi.

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