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Everybody needs a place to think
spedito da: Andrea
Data: domenica, 7 settembre 2014 - ore 12:9



Se fossi un fotografo professionista questa immagine sarebbe un "progetto" o un "concept" o un'altra dicitura altisonante che soggiace a chissà quale afflato creativo imperscrutabile. Invece la cosa è andata così:
Nel'agosto del 2004 mi trovavo a Londra per un periodo di tre settimane, appena compiuti trent'anni, parcheggiato in una casetta di East Finchley a completare il mio secondo romanzo "Senza Fine" (che scritto così suona maledettamente "vissuto" ma in realtà anche no) seduto alla scrivania della stanzetta del mio amico Paolo che invece lì in quella città ci lavorava. Scrivevo tutto il giorno, aspettavo Paolo come il miglior compagno-convivente gay (per inciso finimmo in un bar omo a Chelsea senza la minima idea di dove fossimo andati a bere birra) e alla sera uscivamo per svagarci un po'. Quell'estate fu un momento cruciale della mia esistenza per svariate ragioni non necessariamente entusiasmanti; un periodo che mi avrebbe cambiato le traiettorie di vita in maniera completamente inaspettata. In uno dei nostri vagabondare, nell'ultimo giorno di permanenza pare di ricordare, Paolo mi scatta la foto di sinistra mentre sono seduto su una panca spalle al Tamigi dove avevamo consumato (o avremmo) una delle nostre proverbiali "chiacchierate" sulla vita, i progetti e tutte quelle cose lì (per dirla alla Ligabue). Tanto per metterci il carico da undici, la panca recava affissa una placchetta di metallo con su scritto "everybody needs a place to think", fate un po' voi.
Bene. Dopodichè, quest'anno, luglio 2014, ho compiuto quarant'anni. Sempre Paolo, lo stesso amico Londoner a tempo determinato (nel frattempo rientrato in Italia), mi fa un regalo "a sorpresa" organizzando un weekend londinese nel quale avremmo pedalato lungo le strade della capitale britannica, attraversando luoghi più o meno significativi delle vite di entrambi. Non sto qui a descrivere la tre giorni e tutto il resto: dico solo che, resomi conto della decade che intercorreva tra quel periodo scrivano e il weekend nel quale stavo sudando pompando sui pedali guidando a sinistra, mi è venuta l'idea che vedete in alto. Un'altra foto, sulla panchina che non è la stessa se non per qualche metro più in là, con la stessa placchetta di metallo ed io, nella stessa posizione, più o meno. Pensate che in valigia avevo la stessa polo di sinistra e gli stessi occhiali ma erano in hotel e l'idea andava realizzata in quell'istante (sì, lo so cosa state pensando ma non mi piace buttare certa roba ok?).
La foto di sinistra m'è sempre piaciuta, un po' perchè sto bene con la mia tipica espressione incazzata panteistica (ed è raro che io venga bene in foto, dove su "bene" si potrebbe aprire una tavola rotonda infinita) ma soprattutto per il significato sublime che quella immagine porta con sè, tralaltro su diapositiva, dato che nel 2004 le macchine digitali erano ancora inaccessibili ai comuni mortali.
Aver potuto bissare lo scatto, devo dire con un risultato estetico inferiore a dieci anni fa, mi ha entusiasmato (per quello che mi compete) pensando a tutto quello che queste due foto raccoglievano in termini di tempo vissuto. Troppo e variegato e straordinario e terribile allo stesso tempo, insomma un decennio di vita vissuta a petto in fuori a prendere mazzate e a darle allo stesso tempo. Ed ho pensato che condividerlo sul network fosse proprio nel significato reale del "Facebook", un annuario appunto, di foto profilo a memoria propria e dei posteri.

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