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Un morso dentro.
spedito da: Andrea
Data: martedì, 23 gennaio 2018 - ore 13:51


Sono stupito, in modo assolutamente straordinario, di questa incapacita’ nel gestire le malinconie di cui la vita ci omaggia a piu’ riprese e senza il benche’ minimo preavviso ovviamente, come quegli orrendi regali di Natale che si ricevono da parenti che manco si sapeva di avere. Lo spazio vitale che esse esigono, l’ipertrofia che manifestano in un osceno fagocitare il tutto (che resta) al di fuori di esse mi lascia basito; senza un’azione di contrasto da parte di forze amiche, come emozioni (potenzialmente) in dotazione a passioni all’apparenza invulnerabili a qualunque tentativo di sozzura del quotidiano, le malinconie di cui sopra si aggirano indisturbate e arroganti negli ambienti della nostra esistenza, caratterizzate da una scostumatezza che le rende odiose e per niente derubricabili a “romantico” e creativo passaggio obbligato per il raggiungimento di un mondo a colori e pieno di gioie potenti.
L’ebetaggine, piu’ che presunta, una certezza, con la quale spostiamo noi stessi negli spazi concreti, dovrebbe renderci edotti del potere tremendo che, sempre le malinconie di cui sopra, sono in grado di esercitare sulle nostre misere pianificazioni o improvvisazioni che riguardano il nostro futuro. Non si capisce se e’ necessario attendere che un vento immaginifico se le porti via chissa’ dove, un fenomeno trascendente il nostro volere, o tentare reazioni, nella maggior parte delle volte scomposte, a cio’ che loro imbastiscono per renderci passivi alla qualunque. E nel mentre dei nostri perniciosi attendismi, talvolta invece ristagnano, si annidano negli interstizi dell’anima, dove non ci arrivi a pulire, mutano, giacendo in quegli ingranaggi che non lubrifichi, raggiungendo forme di negatività superiore, come il dolore ad esempio.
La ferocia dell’assenza, cantava la Mannoia (o la spietatezza del senso di un non-ritorno, la Consoli), riferito alla persona in quel caso, nell’esaltazione di istinti da belve che agiscono per necessita’ profonde e non per logiche di rispetto (almeno non nella maggioranza delle volte), in quel tragico balletto del lascito, rappresentazione sempre cara ai romantici di cui sopra; persona che si fa metafora in realtà, della scomposizione e della inevitabile susseguente disgregazione di tutto quello che l’involucro umano reca in se’, nella straordinarietà della sua unicità, non contraffabile e pertanto inestimabile. E chi e’ davvero capace di accettare con aplomb reale e non di facciata, di perdere qualcosa che rappresenti un punto di accesso ad un livello di energia superiore, che permetta di dire, fare, anche solo pensare, azioni e gesti mai contemplati prima. Nessuno credo.
Le malinconie, quelle Malinconie, non sono altro che la polvere generata dalla disgregazione di cui sopra, talvolta macerie si direbbe, a fronte di un evento piu’ distruttivo, ma di quello si tratta, di una apparenza diversa di un tutto che prima era forma e sostanza vivente. E non serve aspirarla quella polvere, non esiste nulla di simile in questo caso, ma attendere che si posi, abbandonando quello stato di sospensione che ammorba l’ambiente, fin troppo delicato, dei nostri sentimenti.

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