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Sul treno (ci risiamo).
spedito da: Andrea
Data: venerdì, 18 ottobre 2019 - ore 12:6


POST LUNGO (per onestà intellettuale...)

Proviamo ad alleggerire andando rigorosamente per ordine.
Sono su un treno a lunga percorrenza (scenario paragonabile a quello di un piromane a zonzo in un bosco in pieno foliage con un paio di taniche di benzina) dove la condivisione inevitabile (e forzata) degli spazi, genera mostri da mitologia scandinava.
Livello 1:
Ad ogni stazione un annuncio in perfetto italiano, senza inflessioni di sorta nè termini dalla semantica proibitiva, invita (perchè questo è il verbo utilizzato) i passeggeri a silenziare i dispositivi elettronici e abbassare il volume della voce nel rispetto (giuro su dio che usa il termine “rispetto”) degli altri disgraziati (questo invece lo uso io) presenti sul medesimo mezzo di trasporto.
Ora, il fatto di “invitare” e non “imporre” all’italiano (e qui non serve distinguere tra “medio” e non) una sacrosanta azione nell’alveo delle piu’ elementari regole del vivere civile, lasciando la scellerata opzione della “scelta” (come se il concetto del silenziare sia opinabile) è già di per sè un errore madornale, da principianti oserei dire.
Evidentemente, aggiungo io, il meccanismo di silenziamento è pratica da premi nobel: deve essere di una complessità propria delle menti elette, spingere quella levetta laterale verso il basso e compiere un’operazione dalle immonde difficoltà.
Detto questo, le conseguenze sono perfettamente immaginabili: credo che neanche nel laboratorio di Test della Eppol o della Samsung o della Uauei abbiano una tolleranza al rumore simile a quella necessaria a rimanere sereni e seduti al proprio posto. I decibel delle suonerie raggiungono livelli paragonabili ai martelli pneumatici utilizzati da energumeni basici in cantieri da grandi opere, con la differenza che tu non hai le cuffie fono-assorbenti che hanno gli operai in ottemperanza a norme basilari di sicurezza sul lavoro. Se ti va di lusso, il tema è un estratto di qualche opera sinfonica (dopo Bologna ho apprezzato i Carmina Burana nel passaggio piu’ noto) ma se sei particolarmente sfigato, allora ti becchi un segmento di qualche decerebrata pop-star attuale (e qua il ventaglio del mezzo di tortura avrebbe solleticato l’interesse di Torquemada).
Dopodichè, la fenomenologia spazia nelle direzioni piu’ suggestive.
Telefonino che squilla. La suoneria è un tema pre-caricato che si rifà ad un eccitantissimo sitar indiano (dunque siamo nel mezzo degli estremi descritti sopra). Il suono è attutito il che ti fa capire che l’oggetto può essere: o in tasca (tempo medio di accesso, qualche secondo) o in una borsa o zaino (e qui i tempi di accesso diventano un terno a lotto, dipendentemente da chi è il ravanatore: uomo di mezza età con zaino da adolescente - come il sottoscritto o signora/signorina con la propria borsa...e vabbè...) Estratto il cellulare dai recessi appena descritti, avviene l’impensabile: l’astante, in apparente stato catatonico, fissa lo schermo come se l’invito alla comunicazione arrivasse da un qualche alieno pianeta sconosciuto di un’altrettanta sconosciuta galassia. E via altri interminabili secondi dove i decibel continuano indisturbati a fracassare l’aria e tu devi cambiare posizione da seduto perchè le tue palle stanno raggiungendo volumi non compatibili con l’ergonomia umana. Intanto, nell’affollata agorà neuronale del destinatario della chiamata fioccano i dibattiti, i dubbi, gli interrogativi, come se dalla risposta dipendessero le sorti della nostra civiltà. E il tempo passa e tu lo vedi, in lontananza, in rapido avvicinamento, il limite oltre cui ogni decenza e buona educazione non hanno ragion d’essere e la pazienza è polvere come quella dei ripiani alti delle pareti attrezzate. Segretamente lo brami e sei lì per dar libero sfogo a tutti i tuoi istinti piu’ sociopatici quando il tizio/a, presa l’epocale decisione gravida di conseguenze, risponde.
E qui scaliamo al,

Livello 2:
Al di là del MeltinPot dialettale, tipico dei mezzi di trasporto che congiungono punti estremi del paese (tema già affrontato in altri scritti e dialoghi a sfondo ferroviario), vorrei soffermarmi sul contenuto delle conversazioni.
Mi rendo conto che temi come quelli della complians o del recente giddippierre o in generale la piu’ elementare praivasi, restano materie ignote al cittadino italiano (anche qua indifferenziato), al pari di teorie come la Relatività di Ainstain o dei Buchi Neri di Oching; e dunque ci si ritrova catapultati senza possibilità di scampo, in uno sfavillante, effervescente, per certi versi anche morbosamente affascinante festival dei cazzi altrui al quale, superato indenne il Livello 1, ci si ritrova a partecipare con ipocrita, malcelata curiosità.
Il bestiario è ricco e variegato.

Si va dall’uomo di affari che romanza una trattativa (probabilmente mai intavolata davvero) al pari della manovra finanziaria del governo, il tutto, ovviamente, con studiato lessico e tono baritonale per colpire la milfona seduta di lato che, in uno sforzo sovrumano, sta usando la limitata capacità cognitiva per seguire il paesaggio che si srotola velocemente fuori dal finestrino. La cosa inspiegabile, che non trova conclusione razionale, è che dopo minuti interminabili di vuoto-cosmico verbale a senso unico, dopo aver eviscerato la qualunque, il sedicente menager chiude la conversazione frettolosamente promettendo di richiamare il suo interlocutore perchè, cito testualmente, “sul treno non prende bene”...

Altro elemento tipico è lo studente. Chiaramente il punto sul quale gravita e orbita la sua esistenza è l’ Esame. Prova, quest’ultima, che allarga l’ambito valutativo non solo alla materia accademica (qualunque essa sia) ma diventa passaggio generazionale, di formazione oserei, per future ossessioni da sciorinare sul divano di qualche psicanalista in età piu’ matura. Dunque la conversazione è tutto un fiorire di termini tecnici, rimandi a testi ufficiali classificati a mo’ di versetti biblici (eg: Prof Pincopalla 4:12), giudizi coloriti e poco rispettosi sugli stessi docenti (in barba ai concetti di praivasi citati in precedenza) con una coda enumerativa sulle derrate alimentari presenti nella dispensa della casa (rigorosamente condivisa con altri “detenuti”) perchè sia mai detto che lo studente fuorisede resti a secco. I sospiri, utilizzati come intercalare scenico, sono numerosi e accompagnati da pose e movimenti provenienti direttamente dall’Accademia di Arte Drammatica.

La telefonata da inciucio: è la forma piu’ sublime e sofisticata della nobile arte dello sputtanamento. Avviene nel novantanove percento dei casi tra interlocutrici (puro dato statistico). Lo spettro di frequenze della voce, alterata dai toni teatrali con i quali vengono enfatizzati i momenti topici, hanno i tratti caratteristici delle piu’ terribili torture cinesi. La tecnica, il cui fine è rendere edotta la platea di tutta la vicenda al centro della discussione e dei suoi protagonisti, ha una sofisticazione da codice di agente dei servizi segreti oltre che utilizzare sublimazioni inconsce che neanche Froid. Senza mai fare considerazioni esplicite, utilizzando monconi di nomi, soprannomi e cognomi camuffati, piazzando qua e là sorrisini, “oooohh” di sorpresa, “ma dai”, “non ci credo”, “non è possibile”, “no vabbè”, “sei seria?”, condendo il tutto con gestualità opportune (anche queste da Actor Studio) e in ultimo geolocalizzando il tutto, tu, anche se la vastità del cazzo che te fregava avesse raggiunto livelli astronomici, anche se ti fossi distratto per qualche secondo, ti ritrovi d’un tratto coinvolto in una storia di cui ormai sei succube tramite un’empatia che non credevi neanche di avere. Ed anche qui i sospiri non si contano, accompagnati però da volti sardonici e anche qui, il finale di conversazione si presta alle piu’ ardite speculazioni: chiusa la telefonata, a schermo ormai spento, l’interlocutrice lo fissa con un sorriso da madre amorevole, passando compulsivamente le dita sul vetro per ripulirlo da invisibili tracce come un assassino maneggia l’arma del delitto.

Ultima ad essere presa in esame è la conversazione a tecnologia “ibrida”. Qui si sale al,
Livello 3:
Nonostante il termine rimanderebbe a paralleli automobilistici, qui, se possibile, la questione è un “filino” ancora piu’ complessa. Innanzitutto, il Livello 1 avviene in prossimità di gallerie, zone montagnose, o in generale dove il campo della rete cellulare scarseggia, la qual cosa, come potete immaginare, rende il Livello 1 ancora piu’ lungo e complicato: uno stillicidio di “pronto? Pronto? Pronto?”, sospiri, sguardi al cellulare allontanandolo dall’orecchio e osservandolo con riprovazione, come se all’interno del manufatto tecnologico ci fosse uno spiritello maligno che zompettando tra un circuito e l’altro impedisca lo svolgersi regolare del dialogo. E invece è proprio in questo che il Livello 3 si estrinseca magicamente: in realtà la scarsità di campo è l’humus, il brodo primordiale dove l’utente sviluppa manualità circensi. Gli strumenti a disposizione sono: chiamata regolare, whatsapp nella forma testuale e, soprattutto, nel messaggio vocale, Messenger, Instagram, Feisbuc e, laddove la situazione lo richieda, perfino l’imeil. Come in un protocollo di comunicazione di ultima generazione, la conversazione viene spacchettata con differenti percentuali (a seconda delle predisposizioni attitudinali del soggetto) riferite ai differenti mezzi utilizzati e citati precedentemente.
In una gragnola di ping e ting e ding pre-caricati nel cellulare come alert per l’arrivo delle varie messaggistiche, si assiste a telefonini messi di traverso davanti la bocca per mandare messaggi vocali laddove il campo sia nullo (il soggetto si è preventivamente loggato al uaifai del treno il cui funzionamento è già di per sè una tortura). Digitazione di messaggi di testo a velocità elevatissime che darebbero filo da torcere anche agli stenografi di Montecitorio; velocità rese possibili da tecniche di digitazione all’avanguardia, dove la teoria del pollice opponibile trova moderne e mai esplorate chiavi di lettura. Addirittura, laddove necessario, il Selfi, utilizzato come strumento di sintesi di concetti altrimenti impossibili da esplicitare a parole. Il tutto, ed è questo l’altro talento richiesto al conversante “ibrido”, senza mai, e sottolineo “mai” perdere il filo del discorso. Il risultato, prevedibile, è portare a termine la conversazione nella stessa spossatezza mentale di Kasparov dopo il campionato del mondo di scacchi a tavoli multipli.

Ho sicuramente lasciato fuori qualcosa o qualcuno ma concludendo: difendere i cazzi propri, evitare lo sfruculiamento della pazienza altrui, raggiungere nuovi livelli mai sperimentati di educazione “togliendo le suonerie” (“silenziare” potrebbe risultare radical scic) e soprattutto, laddove inevitabile, rispondere portandosi nell’area tra le carrozze o parlando con un volume di voce non necessariamente da attore teatrale, davvero è impresa così ardua?
Maledetti bastardi...

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On-line dal 28 gennaio 2007 | credits: Andrea De Gruttola | contatti | disclaimer: il materiale riprodotto è di proprietà dell'autore e di tutti coloro che, opportunamente citati, abbiano fornito il consenso all'utilizzo. | Il Numero Imperfetto © 2006 Il Filo Editore S.r.l., Roma - www.ilfiloonline.it | Senza Fine © 2009 AltroMondo Editore, Padova - www.altromondoeditore.com